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di Luigi Spaventa per www.lavoce.info
Nel recente passato molti esperti hanno negato con veemenza che una ripulitura dei bilanci delle istituzioni finanziarie dalle obbligazioni strutturate svalutate e ormai illiquide fosse condizione necessaria e preliminare, anche se non sufficiente, per arrestare l’avvitamento della crisi finanziaria. Ora che le pur abbondanti ricapitalizzazioni non hanno sortito l’effetto sperato, sembrano invece accogliere di buon grado l’istituzione delle bad bank. Eppure, si tratta della stessa cosa, ma in condizioni più difficili perché si è perso tempo prezioso.
Sovente le opinioni degli esperti – tali per titolo accademico o per qualifica professionale – sono volatili quasi quanto i mercati. Nel recente passato molti di essi negarono con apodittica veemenza che una ripulitura dei bilanci delle istituzioni finanziarie dalle obbligazioni strutturate svalutate e ormai del tutto illiquide fosse condizione necessaria e preliminare, anche se non sufficiente, per arrestare l’avvitamento della crisi finanziaria in una spirale viziosa. Scartando quella soluzione, opponevano che la sola via maestra era una ricapitalizzazione delle banche: a opera della mano pubblica, dopo le scottature subite dalla mano privata fra la fine del 2007 e il 2008. Dovendosi ora ammettere che le pur abbondanti ricapitalizzazioni non hanno sortito l’effetto sperato, gli stessi che deprecarono qualsiasi intervento sugli attivi degli istituti, e soprattutto il piano di Paulson nella sua versione originaria (mai attuata), sembrano accogliere di buon grado le proposte di istituzione di bad banks. Eppure, a ben vedere, si tratta della stessa cosa, ma in condizioni più difficili perché si è perso tempo prezioso. Motivo brevemente queste affermazioni.
LE RICAPITALIZZAZIONI
Affinché abbia successo, la ricapitalizzazione delle banche richiede un previo intervento sul loro attivo. In una situazione di crisi finanziaria, il circolo vizioso fra liquidità di mercato e liquidità di provvista finanziaria provoca un declino protratto della valutazione dei titoli all’attivo delle banche e soprattutto di quelli rappresentativi del credito: manca o svanisce un mercato, le poche transazioni bilaterali avvengono a prezzi stracciati, gli indici di riferimento (come ABX) impiegati per il fair value vanno in caduta libera. Sino a che l’attivo continua a svalutarsi, il capitale che era sufficiente al tempo t non lo è più al tempo t+k, come si è ben visto nelle esperienze che si sono succedute sin dalla fine del 2007. Un computo affidabile del fabbisogno di capitale è possibile solo se il prezzo delle obbligazioni trova un limite inferiore ragionevolmente certo. Un intervento di acquisto dei titoli illiquidi servirebbe a definire quel limite per la parte dell’attivo altrimenti esposta solo a un downside. Prima si definiscono questi valori, minore è il fabbisogno di capitale necessario a risanare le banche.
UN REGALO ALLE BANCHE?
Se abbia senso ritenere che il valore “di mercato” non rifletta un valore “intrinseco” dei titoli o se con l’acquisto si faccia solo un regalo alle banche.Una risposta la hanno già data i tanti, accademici e funzionari, che hanno chiesto una sospensione della valutazione con i criteri del fair value (IAS 39) in situazione di mercati illiquidi o inesistenti: riconoscendo con ciò che in una situazione siffatta gli indici di mercato si allontanano in modo sostanziale dai “fondamentali”. Lo stesso risultato si ottiene con maggiore precisione dal confronto analitico del valore dei flussi di cassa scontati di alcune classi di obbligazioni creditizie, calcolati in base alle probabilità di insolvenza, con i prezzi “di mercato”, il primo sempre essendo maggiore dei secondi.
I PROBLEMI TECNICI
Se e come sia tecnicamente possibile sostituire le obbligazioni illiquide con altre attività.Sono problemi complicati, che tuttavia lo divengono ancora di più quando, con il passare del tempo, si aggrava la situazione di il liquidità. Il Troubled Assets Relief Program proposto dal segretario al Tesoro Paulson agli inizi di ottobre prevedeva una “asta inversa” (reverse auction) per i titoli posseduti dalle banche: i dettagli non furono mai elaborati, perché, sepolto dalle critiche dei ricapitalizzatori, Paulson alzò quasi subito bandiera bianca e dedicò i fondi stanziati a interventi diretti di salvataggio. (1) Si noti peraltro che i critici del Tarp non battevano ciglio mentre le banche centrali, e soprattutto la Fed, accettavano le obbligazioni illiquide in garanzia per operazioni di rifinanziamento, anche a termine non breve e sempre rinnovate: con ciò assumendone il rischio e risolvendo evidentemente un problema di valutazione; ma senza ottenere il beneficio di interrompere la spirale al ribasso, poiché i titoli rimanevano sui bilanci delle banche.
E comunque con la bad bank si fa, in ritardo, la stessa cosa dovendo affrontare gli stessi problemi. Ogni tanto si ha l’impressione che la bad bank venga ritenuta un espediente magico: via i toxic asset dai bilanci delle banche per conferirli in una discarica e tutti vivranno felici e contenti. Ma non è così semplice. A quale prezzo si valutano i titoli da trasferire alla banca “cattiva”? Non a zero, evidentemente, perché questo lo si potrebbe fare già oggi operando una gigantesca svalutazione, e una pari ricapitalizzazione, senza alcun trasferimento di attività. Il prezzo da pagare alla banca deve dunque essere positivo, tenendo presente che dal suo livello, in relazione ai valori di bilancio, dipende la determinazione del fabbisogno di capitale. Si ripropongono dunque, in ritardo e perciò più difficili, gli stessi problemi che si ponevano con il Tarp o con schemi simili: determinazione di una valutazione significativa dei titoli illiquidi; individuazione del soggetto acquirente; provvista dei fondi disponibili per l’acquisto.
Back to square one.
(1) Per questi problemi e sulle varie opinioni espresse, si veda Luigi Spaventa “Pragmatica difesa del piano americano”. Per una precedente proposta simile al Tarp, id., “Avoiding Disorderly Deleveraging”, Cepr Policy Insight, no. 22. La spirale di liquidità che impedisce di affidarsi esclusivamente alla ricapitalizzazione è analizzata in M.K. Brunnermeier e L.K. Pedersen, “Market Liquidity and Funding Liquidity”, 2007, in pubblicazione in Review of Financial Studies.